La malattia non professionale costituisce una tipica ipotesi legale di sospensione del rapporto di lavoro subordinato causata dall’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa.
Il lavoratore, pubblico o privato, che si assenta per malattia (o in caso di gravidanza o infortunio) ha diritto a un periodo, detto di comporto, durante il quale gli viene garantito il mantenimento del posto di lavoro e la retribuzione economica. Durante tale periodo, variabile in base ai singoli contratti collettivi, il datore di lavoro ha il divieto di licenziare il lavoratore.
Di solito, il contratto distingue due ipotesi: il comporto secco, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di un’unica malattia di lunga durata, e il comporto per sommatoria, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di più malattie non consecutive.
Scaduto il termine di comporto, il lavoratore può essere licenziato anche se seriamente malato a meno che non si dia dimostrazione del fatto che le ripetute assenze erano dovute a episodi dovuti ad inadempienze rispetto alle indicazioni fornite dal medico competente o per evidenti violazioni delle norme sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’indennità di malattia, il cui importo è pari al 50% di quello corrisposto in caso di ricovero ospedaliero, spetta per un numero massimo di giorni pari a 1/6 delle giornate lavorate nei 12 mesi precedenti l’inizio della malattia, e comunque per almeno 20 giorni.
L’ASPETTATIVA NON RETRIBUITA
Spesso i contratti collettivi di lavoro, oltre al periodo di comporto per malattia, prevedono anche un periodo di aspettativa non retribuita. Questa permette di restare a casa, sia pur in assenza della retribuzione, per un ulteriore periodo di tempo che supera il termine di comporto.
Il periodo massimo di aspettativa non retribuita e comunque indicato dal contratto collettivo.